Carissimi fratelli,
sicuramente, quando eravamo bambini, tutti siamo passati per l’esperienza della punizione. Forse rinchiusi in camera o in piedi nell’angolo del soggiorno, abbiamo passato del tempo a pensare su ciò che avevamo fatto male. Magari no ci sembra un bel ricordo, però lo scopo era farci riflettere e anche pentire, con la speranza che imparassimo la lezione.
Per gli adulti non basta l’angolo, c’è bisogno di qualcosa più forte. I carceri perseguono lo stesso scopo: pentimento e cambiamento. Perdere temporalmente la libertà serve per capire che le cattive opere portano con se cattive conseguenze, tanto per chi le soffre come per chi le fa. Chiuso e in isolamento si dovrebbe riuscire a convertirsi.
Gesù è andato nel deserto e lì è rimasto quaranta giorni. Digiuno e preghiera, insieme alla solitudine per prepararsi alla sua vita pubblica. Lui non aveva niente da pentirsi, però si aveva bisogno di stare da solo, per orare al Padre. E’ questo l’esempio che noi vogliamo imitare durante la quaresima.
Tanto la punizione del bambino, come il carcere del adulto somigliano i quaranta giorni del Signore, perché lo scopo è sempre lo stesso: pentimento, penitenza e conversione.
Ma c’è anche una grande differenza. Mentre ne il bambino, ne l’adulto scelgono la propria punizione, nel caso della Quaresima non ci viene imposta. Dio ci propone un tempo di penitenza e riflessione attraverso la Chiesa, siamo invitati a viverlo, però è una decisione personale accettare.
In questa prima domenica della Quaresima dobbiamo deciderci ad approfittare ogni giorno, trovare il nostro “deserto” dove poter meditare e attraverso la preghiera e la meditazione, le mortificazioni e le opere di misericordia, produrre i frutti che Gesù aspetta da noi.
Fino al Cielo.
P. Cèsar Piechestein
ilpreteditutti