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viernes, 27 de mayo de 2011

Incarnare la Parola - Dalla «Lettera a Diogneto»

I CRISTIANI NEL MONDO

I cristiani non si differenziano dal resto degli uomini né per territorio, né per lingua, né per consuetudini di vita. Infatti non abitano città particolari, né usano di un qualche strano linguaggio, né conducono uno speciale genere di vita. La loro dottrina non è stata inventata per riflessione e indagine di uomini amanti delle novità, né essi si appoggiano, come taluni, sopra un sistema filosofico umano.

Abitano in città sia greche che barbare, come capita, e pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile. Abitano ciascuno la loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è per essi terra straniera. Come tutti gli altri si sposano e hanno figli, ma non espongono i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il talamo.

Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma, con il loro modo di vivere, sono superiori alle leggi.

Amano tutti e da tutti sono perseguitati. Sono sconosciuti eppure condannati. Sono mandati a morte, ma con questo ricevono la vita. Sono poveri, ma arricchiscono molti. Mancano di ogni cosa, ma trovano tutto in sovrabbondanza. Sono disprezzati, ma nel disprezzo trovano la loro gloria. Sono colpiti nella fama e intanto si rende testimonianza alla loro giustizia.

Sono ingiuriati e benedicono, sono trattati ignominiosamente e ricambiano con l'onore. Pur facendo il bene, sono puniti come malfattori; e quando sono puniti si rallegrano, quasi si desse loro la vita. I giudei fanno loro guerra, come a gente straniera, e i pagani li perseguitano. Ma quanti li odiano non sanno dire il motivo della loro inimicizia.

In una parola i cristiani sono nel mondo quello che è l'anima nel corpo. L'anima si trova in tutte le membra del corpo e anche i cristiani sono sparsi nelle città del mondo. L'anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo. Anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo. L'anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile, anche i cristiani si vedono abitare nel mondo, ma il loro vero culto a Dio rimane invisibile.

La carne, pur non avendo ricevuto ingiustizia alcuna, si accanisce con odio e muove guerra all'anima, perché questa le impedisce di godere dei piaceri sensuali; così anche il mondo odia i cristiani pur non avendo ricevuto ingiuria alcuna, solo perché questi si oppongono al male.

Sebbene ne sia odiata, l'anima ama la carne e le sue membra, così anche i cristiani amano coloro che li odiano. L'anima è rinchiusa nel corpo, ma essa a sua volta sorregge il corpo. Anche i cristiani sono trattenuti nel mondo come in una prigione, ma sono essi che sorreggono il mondo. L'anima immortale abita in una tenda mortale, così anche i cristiani sono come dei pellegrini in viaggio tra cose corruttibili, ma aspettano l'incorruttibilità celeste.

L'anima, maltrattata nei cibi e nelle bevande, diventa migliore. Così anche i cristiani, esposti ai supplizi, crescono di numero ogni giorno. Dio li ha messi in un posto così nobile, che non è loro lecito abbandonare.

miércoles, 25 de mayo de 2011

Pasqua, V Domenica - Fare vita il Vangelo

Carissimi fratelli,

Domenica scorsa il Signore ci fa riflettere nel collegamento che esiste tra il “essere” e il “agire”. Alcune persone vedono la Chiesa come una istituzione d’aiuto sociale dove l’unico e principale compito è provvedere ai bisogni dei poveri. Sappiamo che non è così peró facciamo il percorso che la Parola ci propone.

Già nella prima lettura vediamo come la Chiesa primitiva deve risolvere un problema nello che riguarda alla carità verso Dio e verso il prossimo. Alcune vedove e orfani erano stati trascurati e gli Apostoli non potendo trascurare la preghiera e la predicazione decidono di ordinare i primi diaconi. Allora prima conclusione che possiamo fare è che le priorità erano giustamente quelle che si centravano nella cura spirituale della comunità cristiana.

Dopo troviamo un’altra pista. I candidati dovevano essere uomini pieni dello Spirito Santo. Non dovevano essere i più bravi per far mangiare o per dare conforto, perché chi e pieno di Dio lo saprà fare molto bene. Quindi ciò che importa non è tanto l’agire ma ciò che si è, l’essere.

Nel Vangelo Gesù afferma che Lui è venuto perché noi facciamo le opere che Lui ha fatto e anche più grandi. Però prima aveva proclamato che Lui è “La via, la verità e la vita”. Quindi se qualcuno vuole fare le opere per Lui compiute deve essere come Lui.

Noi cristiani non possiamo cadere nella moda del fare per fare, nella vita superficiale. La vita spirituale comanda le nostre opere, a maggior comunione con Dio maggior capacità d’amare. La carità non è qualcosa fai da te o fai come ti pare. La vera carità nasce del cuore che fa propria la volontà di Dio. Per Gesù il suo cibo era fare la volontà del Padre.

Allora dobbiamo cercare di trasformare la nostra volontà nella Sua, soltanto così il nostro agire sarà secondo il Suo piano.Siamo quasi nel mese di Giugno, mese del Sacro Cuore di Gesù. Vi invito a ripetere spesso questa antica e bella preghierina: “Gesù mite e umile di cuore, fa il mio cuore come il tuo.”
Fino al Cielo.

P. César Piechestein
ilpreteditutti

jueves, 19 de mayo de 2011

Incarnare la Parola - Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

Il comandamento nuovo

Il Signore Gesù afferma che dà un nuovo comandamento ai suoi discepoli, cioè che si amino reciprocamente: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34).

Ma questo comandamento non esisteva già nell'antica legge del Signore, che prescrive: «Amerai il tuo prossimo come te stesso»? (Lv 19, 18). Perché allora il Signore dice nuovo un comandamento che sembra essere tanto antico? È forse un comandamento nuovo perché ci spoglia dell'uomo vecchio per rivestirci del nuovo? Certo. Rende nuovo chi gli dà ascolto o meglio chi gli si mostra obbediente. Ma l'amore che rigenera non è quello puramente umano. È quello che il Signore contraddistingue e qualifica con le parole: «Come io vi ho amati» (Gv 13, 34).

Questo è l'amore che ci rinnova, perché diventiamo uomini nuovi, eredi della nuova alleanza, cantori di un nuovo cantico. Quest'amore, fratelli carissimi, ha rinnovato gli antichi giusti, i patriarchi e i profeti, come in seguito ha rinnovato gli apostoli. Quest'amore ora rinnova anche tutti i popoli, e di tutto il genere umano, sparso sulla terra, forma un popolo nuovo, corpo della nuova Sposa dell'unigenito Figlio di Dio, della quale si parla nel Cantico dei cantici: Chi è colei che si alza splendente di candore? (cfr. Ct 8, 5). Certo splendente di candore perché è rinnovata. Da chi se non dal nuovo comandamento?

Per questo i membri sono solleciti a vicenda; e se un membro soffre, con lui tutti soffrono, e se uno è onorato, tutti gioiscono con lui (cfr. 1 Cor 12, 25-26). Ascoltano e mettono in pratica quanto insegna il Signore: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34), ma non come si amano coloro che seducono, né come si amano gli uomini per il solo fatto che sono uomini. Ma come si amano coloro che sono dèi e figli dell'Altissimo, per essere fratelli dell'unico Figlio suo. Amandosi a vicenda di quell'amore con il quale egli stesso ha amato gli uomini, suoi fratelli, per poterli guidare là dove il desiderio sarà saziato di beni (cfr. Sal 102, 5).

Il desiderio sarà pienamente appagato, quando Dio sarà tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 28).

Questo è l'amore che ci dona colui che ha raccomandato: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). A questo fine quindi ci ha amati, perché anche noi ci amiamo a vicenda. Ci amava e perciò ha voluto ci trovassimo legati di reciproco amore, perché fossimo il Corpo del supremo Capo e membra strette da un così dolce vincolo.

lunes, 16 de mayo de 2011

Domenica del Buon Pastore - Fare vita il Vangelo

Carissimi fratelli,

un mese fa mentre facevo il giro tra la parrocchia di Picinisco e una delle sue chiesette, ho trovato un anziano pastore con il suo gregge. Stava facendole attraversare un ponte molto stretto, dove soltanto potevano passare una a una. Ero meravigliato di vedere come al suo comando ogni pecora si avvicinava a attraversava, senza fretta tutte e in ordine. 

Celebrare la domenica del Buon Pastore ci ricorda che siamo noi le pecore di questo Pastore. Non è possibile pensare in un pastore senza gregge, come è impossibile pensare nelle pecore senza un pastore. Sono elementi che vanno sempre insieme perché dipendono l’uno del’altro.

Quando preghiamo il salmo 22 diciamo “Il Signore è il mio Pastore, non manco di nulla”. Credo che questo è uno dei salmi più conosciuto. Ci da questa certezza, questa fiducia di che Gesù non ci farà mancare niente, che sta sempre attento alle nostre necessità. Però tante volte ci fermiamo soltanto nelle necessità di questa vita, quelle materiali e dimentichiamo la realtà spirituale dei pascoli che Cristo ci offre.

E’ Lui ad affermarlo quando dice “Io sono la porta: chi entra attraverso me sará salvo”. Quando deve spiegare ai suoi apostoli la dimensione specifica della sua missione di pastore sottolinea la sua volontà di salvare il gregge. Il nostro Buon Pastore ha sacrificato la sua vita per noi, per tutto il gregge, non per darci una vita abbondante qui ma nel Regno dei Cieli. Chi rimane solo nella idea del Bel Pastore che non ci farà mancare la salute o il lavoro, il benessere o una vita lunga, si sbaglia perché ha tolto la essenza della missione del Messia.

Il Buon Pastore spera la nostra comprensione e la nostra obbedienza . Solo le pecore docili riusciranno ad entrare per la porta giusta, così come solo quelle pecore obbedienti attraversavano quel ponte stretto a Picinisco. Oggi il Signore ci chiama ad essere docili alla sua volontà, a lasciarci guidare da Lui. Potremmo farlo soltanto se abbiamo messo in Lui tutta la nostra fiducia e soprattutto il nostro amore.
Fino al Cielo.

P. César Piechestein
ilpreteditutti

domingo, 15 de mayo de 2011

Senza la croce non ci sarebbe stata la Risurrezione - Per lodare la Parola



NOSTRA GLORIA È LA CROCE DI CRISTO,
IN LEI LA VITTORIA;
IL SIGNORE È LA NOSTRA SALVEZZA,
LA VITA, LA RISURREZIONE.

Non c'è amore più grande
di chi dona la sua vita.
O Croce tu doni la vita
e splendi di gloria immortale.

O Albero della vita
che ti innalzi come un vessillo,
tu guidaci verso la meta,
o segno potente di grazia.

Tu insegni ogni sapienza
e confondi ogni stoltezza;
in te contempliamo l'amore,
da te riceviamo la vita.

viernes, 6 de mayo de 2011

Oggi nel Vangelo - La risposta giusta.

Davanti alla domanda di Gesù “Dove potremo comprare il pane necessario per sfamare questa gente?” (Giovanni 6,5) Filippo e Andrea reagiscono in diverse maniere. Ciascuno era cosciente della moltitudine che si doveva sfamare e quindi che non era un compito facile da compiere. Tuttavia le sue risposte così diverse ci possono aiutare a capire bene quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento davanti al Signore.

Filippo risponde: Duecento monete d’argento non basterebbero neppure per dare un pezzo di pane a tutti.” Una risposta piuttosto chiusa, senza alcuna speranza di soluzione. Filippo croccia le braccia perché secondo lui non c’è niente da fare. Non lascia attuare Dio e non offre neanche nessuna collaborazione. 

Invece Andrea risponde: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pagnotte d’orzo e due pesci arrostiti. Ma non è nulla per tanta gente!” Lui è cosciente di che ciò che offre è troppo poco, ma l’offre tutto. Nella sua risposta possiamo intravedere la speranza di qualcosa, che magari non sa come però sa che il Signore farà possibile ciò che per l’uomo non è possibile. Andrea è aperto, è disponibile, risponde correttamente alla chiamata di Gesù.

Noi dobbiamo scegliere come sarà la nostra risposta al Signore. Davanti a tutte le difficoltà possiamo chiuderci alla speranza e al potere della grazia di Dio. Possiamo anche aprire il nostro cuore e lasciare che sia il Signore ad attuare, a fare di noi i suoi strumenti. O come Filippo, che avrebbe lasciato a tutti affamati o come Andrea che è stato il collaboratore per quel grande miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Non dobbiamo fermarci nelle nostre debolezze e mancanze, che sicuramente ne sono tante, ma dobbiamo guardare alla grazia di Dio. Il vero problema non sono le nostre difficoltà ma la nostra mancanza di fede. Il problema è non contare su di Lui, che è onnipotente e ci ama troppo.
Fino al Cielo.

P. César Piechestein
ilpreteditutti

miércoles, 4 de mayo de 2011

Giovanni Paolo II: Gigante Beato

Siamo stati un milione e mezzo di pellegrini ad accompagnare la beatificazione del Papa Giovanni Paolo II. Un mare magnum di cattolici venuti di tutte le parte del mondo, portando la stessa gioia nel cuore. Dalle 20:00 del sabato 30 aprile alle 13:00 della domenica 1 maggio un solo obiettivo: partecipare del evento più significativo del anno.

Ci raduniamo per cominciare questo percorso nel Circo Massimo, dove abbiamo potuto celebrare la veglia di preghiera . La tecnologia digitale ci ha collegati allo stesso tempo con tanti altri fratelli che erano stati convocati in diversi santuari del mondo. L’ambiente di preghiera e il ascoltare la voce del Servo di Dio ci preparava per ciò che aspettavamo per la domenica.

A poco a poco una processione informale, che somigliava un fiume umano, fu portando i pellegrini a San Pietro. Verso la mezzanotte era praticamente impossibile camminare nelle strade vicine a Via della Conciliazione. Migliaia di persone sdraiate prima solo nei marciapiedi, ma dopo anche lungo le strade facevano difficile anche il transito pedonale. Eravamo così stanchi però continuavamo a cantare. Si potevano ascoltare molte lingue, ma soprattutto il polacco.

Al’una e mezza ci aprirono l’accesso alla Via della Conciliazione e mezzora dopo eravamo tutti, spalle a spalle, aspettando l’apertura della Piazza. Furono sette ore d’attesa in piedi e sicuro senza dormire. Quasi alle nove non c’era dove mettere il piedi nella piazza.

Al iniziare la messa abbiamo vissuto il momento più speciale, per quello che siamo venuti. Le parole del Papa Benedetto al dichiarare beato al nostro Karol ancora risuonano oggi. Un applauso lungo fu il compagno della processione che portava le sue reliquie. Credo che quello fu un momento che insieme agli applausi strappo tantissime lacrime ai presenti. Anche il Papa si vedeva commosso dal tributo che si rendeva al suo predecessore.

Un “gigante che ci ha insegnato a non avere paura” ha ricordato Benedetto XVI. Un’altra volta Papa Wojtyla è riuscito a farci aprire le porte, ad spalancare i nostri cuori per ringraziarlo per la sua testimonianza. Il gigante ci ha insegnato ad essere umili, ad essere strumenti di Dio. Un milione e mezzo in piazza San Pietro e molti milioni nel mondo hanno condiviso l’unica gioia cristiana: Gesù guida la sua Chiesa.
Fino al Cielo.
P. Cèsar Piechestein
ilpreteditutti